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sabato 13 novembre 2010

Intervista a Filippo Rossi, direttore di 'Caffeina' e di 'FareFuturoWebMagazine'



Intervista: Federico Zuliani
Operatore: Michele Sganzerla
Location: Bastia Umbra (PG)

giovedì 5 agosto 2010

Futuro e libertà: siamo garantisti, ma governo valuti opportunità politica

Ecco il testo e il video dell'intervento fatto nell'aula della Camera dei Deputati da Benedetto Della Vedova, alla sua prima uscita come Vice Capogruppo Vicario del neonato gruppo 'Futuro e Libertà. Per l'Italia', ossia i cosiddetti 'finiani', sulla mozione di sfiducia contro il sottosegretario alla Giustizia/senatore PdL Giacomo Caliendo.




Onorevole Presidente, signori del Governo, colleghi,
il nuovo gruppo parlamentare “Futuro e Libertà per l’Italia” è formato da deputati che avrebbero voluto restare nel Popolo della Libertà e lì partecipare ad un vitale confronto di idee e di personalità che, guardando all’Europa, costruisse il futuro di un grande partito liberale e moderato nell’interesse del paese.
Ci è stato detto in modo categorico che ciò non era ammissibile; che le nostre proposte e le nostre ragioni, i nostri contenuti e le forme che sceglievamo per esprimerli erano incompatibili con il partito e con la sua leadership. Il “nuovo” partito del centro-destra, a quanto pare, non avrebbe potuto tollerare quella dialettica politica, aspra e competitiva, che caratterizza in tutto l’Occidente avanzato la vita politica interna dei grandi partiti di centrodestra.

Non abbiamo capito, ma ci siamo adeguati. Ne abbiamo preso atto, ma non ci siamo rassegnati. Ora la maggioranza parlamentare, alla Camera come al Senato, è composta da tre gruppi, compresi quelli di Futuro e Libertà per l’Italia.

Siamo in maggioranza e sosterremo lealmente l’esecutivo, lavorando per migliorare e accelerare l’attuazione del programma di governo. Per il resto, fuori dal perimetro del programma, andremo ad un confronto aperto, senza pregiudizi ed ostilità. Nulla di meno, nulla di più.

Veniamo al voto di oggi.
Noi siamo garantisti senza se e senza ma. Lo siamo per le migliaia di persone che stanno in carcere, in condizioni incivili, ancora in attesa di un processo. Lo siamo per quegli immigrati che vengono respinti come irregolari prima che si verifichi se abbiano o meno i requisiti per ottenere l’asilo politico; lo siamo per quelle decine di migliaia di imputati e vittime dei reati, che sono condannati dalle inefficienze del sistema giudiziario ad attendere per anni, spesso inutilmente, che la giustizia faccia il suo corso. Lo siamo per tutti, lo siamo anche per i politici, che di fronte ad un’indagine o ad un’imputazione, non sono né più, né meno innocenti dei comuni cittadini.

Il perimetro della responsabilità penale non coincide però con quello della responsabilità politica. Nessun politico ha il dovere di dimettersi per il solo fatto di essere indagato. Ma nessun politico può essere difeso, a prescindere da qualunque altra considerazione, solo perché è indagato. L’avviso di garanzia non è una condanna preventiva, ma la presunzione di innocenza non assicura l’immunità politica. Siamo contro gli opposti estremismi di chi ritiene che un avviso di garanzia debba fare scattare la tagliola delle dimissioni e magari della decadenza dalle cariche pubbliche e di chi, al contrario, ritiene che per valutare le responsabilità di un politico indagato occorra attendere la pronuncia definitiva dell’autorità giudiziaria. Si tratta di due errori uguali e contrari, in cui la politica italiana è già caduta in passato e da cui deve guardarsi per il futuro.

Se oggi la cosiddetta “questione morale” torna in primo piano, non dobbiamo confondere la causa con l’effetto. Sono i fatti a creare allarme, non l’allarme a creare i fatti. La crisi economica sta mettendo alla prova la società italiana: la storia ci insegna che è in questi momenti – quando la disoccupazione cresce, tante imprese sono in difficoltà e le famiglie sono costrette a ripensare i propri progetti di vita – che si diffonde la sfiducia per la politica e per le istituzioni e che novelli agitatori di piazza hanno gioco facile. Ed è in queste situazioni che la politica ha maggiormente il dovere di dare un’immagine di trasparenza, di correttezza, di legalità nell’esercizio del potere pubblico, di meritocrazia nella selezione della classe dirigente e nella valutazione delle sue responsabilità. E’ questo un importante capitale sociale, fondamentale perché una nazione possa ritrovare la strada della crescita e del benessere.

Senza moralismi, dobbiamo dire forte e chiaro che la questione dell’etica pubblica e dell’etica politica ci riguarda tutti, perché su questo tutti insieme verremo giudicati.

Negli ultimi mesi le inchieste giudiziarie, e non solo queste, hanno fatto emergere condotte, di cui è interamente da accertare il rilievo penale, ma di cui sarebbe da incoscienti sottovalutare la portata politica. E’ inutile, oltre che dannoso, addebitare la responsabilità ad un complotto politico-mediatico. Altra cosa, che invece va fatta a voce alta, è chiedere che i media raccontino le indagini senza emettere sentenze sommarie in assenza di contraddittorio.

In questo clima, tornano a soffiare i venti di un giustizialismo aggressivo e di uno pseudo-garantismo peloso. Non tutto è uguale, non tutto è ugualmente censurabile, non tutto è ugualmente difendibile. Ogni caso fa storia a sé. Per stare alle vicende che hanno coinvolto membri dell’esecutivo, bisogna dire chiaramente che il caso Caliendo è diverso dal caso Brancher, che è diverso dal caso Cosentino, che è diverso dal caso Scajola.

Il collega Claudio Scajola si è dimesso da Ministro senza aver neppure ricevuto un avviso di garanzia. Ha sbagliato? No, ha fatto bene. Era opportuno che lo facesse e questo gli va riconosciuto.

Oggi si chiedono le dimissioni del sottosegretario Caliendo. Non voteremo a favore della mozione dell’opposizione. Come dicevamo, non tutte le vicende sono uguali e questa è molto diversa da quelle che l’hanno preceduta. Quanto emerge ed è dato conoscere – al di là, lo ripeto, del rilievo penale che non spetterebbe a noi giudicare – consente di contestare al senatore Caliendo una grave imprudenza e un’eccessiva confidenza con personaggi che non meritavano mè ascolto né credito, non la responsabilità di essere venuto gravemente meno ai suoi doveri.

Non sussistono i presupposti per chiedere le sue dimissioni. In questo concordo con il Ministro Alfano.
Ma, d’altra parte, e lo diciamo sinceramente, non può essere giudicato irrilevante che proprio il sottosegretario al Ministero della Giustizia sia sotto inchiesta per avere tentato di influire su procedimenti che interessavano importanti uffici giudiziari. Tocca al presidente del Consiglio, al Ministro della Giustizia ma innanzitutto al sottosegretario Caliendo valutare serenamente se una sospensione delle sue deleghe, fino al chiarimento definitivo della sua posizione, non sarebbe la cosa migliore da fare.
Per queste ragioni, il gruppo di Futuro e Libertà si asterrà.

Da ultimo, signor Presidente, ma non per ultimo: è molto positivo che su questa posizione equilibrata, su di un terreno dove abitualmente prevale un feroce scontro pregiudiziale, vi sia una convergenza tra gruppi di maggioranza e di opposizione, uniti dalla consapevolezza che serva un sussulto di responsabilità istituzionale in una fase tormentata della Repubblica.

Non è un nuovo partito. Non è il terzo polo. Noi restiamo senza esitazioni nella maggioranza i cui numeri oggi non cambiano, altri restano all’opposizione. Ma è una novità importante che al di là della azione del Governo, su temi che riguardano le istituzioni e il senso di comune appartenenza ad esse, non vi siano più steccati invalicabili. Questo è nell’interesse della Repubblica italiana.
Concludo, signor Presidente, ribadendo il voto di astensione del gruppo “Futuro e libertà per l’Italia”.


CREDITS: Libertiamo

domenica 1 agosto 2010

Ecco a voi il berluscomunismo. Stalin non avrebbe saputo fare meglio

Il liberalismo rivoluzionario berlusconiano trovò la sua bibbia nel Libro nero del Comunismo – ricordate, l’antologia degli orrori pubblicata da Mondadori all’indomani dell’apertura degli archivi sovietici, quella miniera di gemme anti-totalitarie che il Silvio redentore estrasse a beneficio di un popolo democraticamente spurio, non ancora pienamente consapevole – in virtù dell’equivocata ‘diversità’ del comunismo made in Italy – dell’abominio di una cultura omologante, geneticamente votata alla repressione di quella naturale vocazione dell’individuo che è la libera espressione di sé.


Quell’ispirato secchione di Berlusconi tenne a lungo il volume sul comodino. Lo studiò con doviziosa dedizione, riuscendo a farne – con la sua ineguagliata capacità di ridurre a lapalissiana evidenza la complessità dell’universo filosofico novecentesco – la carta dei comandamenti per i missionari della libertà del nuovo millennio italiota. Ah, in quanti ci siamo lasciati ispirare dal verbo! In quanti abbiamo ceduto al trasporto di quella verve libertaria che con le sue suggestioni etiche (l’individuo inizio e fine), i suoi precetti comportamentali (il potenziale di ciascuno reso libero di esprimersi), la qualificante promozione della ‘saggezza’ (incarnata da personalità come Antonio Martino), rese la sino ad allora repressa civiltà liberale un’ambizione possibile persino per il nostro paese a trazione (e tradizione) leggendariamente socialistico-democristiana.

In quel suo “i comunisti mangiano i bambini” molti oppositori del neo-messianesimo berlusconiano videro allora un’iperbolica falsità. Ma non lo era. Era una metafora eretta a monito atemporale, storicamente irriducibile, dell’abbrutimento perverso cui irrimediabilmente conduce l’ideologia autocratica – qualunque ne sia la Weltanschauung ispiratrice.

Fu talmente (con)vincente la crociata libertaria che attorno al Mosè-Berlusconi si creò presto un esercito ampio e trasversale. Non importavano le esperienze pregresse, le provenienze culturali, le hýbris politiche centrifugate dall’evolvere della storia. Contava solo conseguire l’obiettivo – la liberazione della società italiana dal parassitismo statale, dal pluto-burocratismo inconcludente – e traghettare il paese verso un radioso futuro di prospera modernità. Contava restituire agli individui il gusto di sentirsi protagonisti, responsabili delle proprie fortune, primiattori di un’esperienza che si fa tanto più ‘sociale’ quanto più riesce a nutrirsi di motivi ed azioni individuali.

Si arrivò persino a superare distinguo e differenze di sensibilità in nome di un sempre più palese obiettivo liberatorio. Si arrivò, in nome di quell’obiettivo, a costituire un partito unico della Libertà.

Obiettivo che, tuttavia, più veniva perseguito più appariva distante. E le tasse che non si abbassano. E la burocrazia che continua ad annichilire. E gli spazi di libertà che invece di ampliarsi finiscono asfissiati in un indistinto valoriale precipitosamente definito ‘cristiano’. E lo spuntare del ‘noi’ – gli italiani – in sempre più intransigente contrapposizione con il ‘loro’ – gli stranieri. E la vita e la morte sempre meno dominio sacramente privato e sempre più non negoziabile sacramento, conferito ab domino, per roccelliana intercessione. E la moralità del fare? E il fare morale?

E la discordia sempre meno conciliata, non più riducibile a concordia ma inasprita, sfidata, negata, repressa. E i nemici che si fanno sempre più minacciosi, insidiosi. E sempre più insidiosamente camaleontici al punto da palesarsi ovunque: dentro, fuori, sopra, sotto. Ma quali comunisti! Il vero pericolo adesso sono gli ex amici. I liberali della prima ora. I cofondatori della seconda. I partigiani del ben fare. La stampa, gli organi costituzionali. Tutto si fa minaccia là dove in nome della responsabilità liberale si pongono al leader obiezioni di merito (e riflessioni sul metodo).

Ed è così che l’avanzata si arresta, e la lotta di liberazione si fa guerra di trincea. Ed il quartier generale presidio assediato dietro il quale cecchini-falchi – il Giornale con i suoi scoop, i colonnelli acquisiti dall’esercito sussidiario novelli generali di Stato Maggiore, i sacerdoti della sovranità popolare scomunicatori della sovranità del pensiero individuale… – colpiscono ed affondano il veliero disancorato per approdare al mondo nuovo della libertà.

È qui che riemerge dalla polvere la primigenia bibbia del fu architetto dell’Italia 2.
Nel Libro nero del Comunismo si ritrovano all’uopo indicazioni preziose. Su come, ad esempio, ricondurre alla sanità dell’approvazione gioiosa gli insani reprobi della contestazione. Ma suggerimenti utili vengono forniti, nel testo sacro del rivoluzionario liberale, anche rispetto a come spegnere quelle scintille che illuminando gli angoli oscuri della casa comune minacciano di mostrarne lo zozzo nascosto.
La grande lezione che da quella monumentale opera di storiografia dittatoriale si ricava, infatti, è che il dissenso va represso e il dissenziente, nei limiti del possibile, rieducato o altrimenti annientato.

“E il divorzio si compie in un paradossale rovesciamento di ruoli – scrive Pierluigi Battista sul Corriere (supremo organo del Male) nel giorno della ri-presa del Palazzo (d’Estate). Berlusconi diventa il sacerdote della supremazia del Partito, il custode della sua Disciplina che espelle, radia, scomunica, butta fuori dal recinto sacro. Fini il dissidente, l’uomo dell’apparato che si ribella all’apparato e prende su di sé l’anatema: fuori linea, indisciplinato. Sabotatore.”

La storia corre e ri-corre, diceva quel tale. E allora inutile girarci intorno, compagni: che berluscomunismo – finalmente – sia!

Simona Bonfante - 37 anni, siciliana, giornalista e blogger, si è fatta le ossa di analista politico nei circoli neolaburisti durante gli anni di Tony Blair. Dopo un periodo in Francia alla scoperta della rupture sarkozienne, è recentemente rientrata a Milano dove, oltre a scrivere per varie testate online, si occupa anche di comunicazione politica, per lo più come ghostwriter.

venerdì 30 luglio 2010

mercoledì 14 aprile 2010

Leggere, comprendere, imparare...

Quello che è successo ad Adro (BS), ha dell'incredibile, in un verso e nell'altro. Ricapitoliamo: il Sindaco leghista toglie i pasti della mensa scolastica ai bambini le cui famiglie (NON tutte extracomunitarie, ma la maggiorparte) nn hanno pagato i buoni.

Si scatena un can can tra chi giustifica questa azione parlando di LEGALITA' ed EQUITA', e chi GIUSTAMENTE si indigna.

Qualcuno, non solo s'è indignato, x fortuna...

Ecco la lettera dell'imprenditore che ha saldato il debito. Che amministratori, dirigenti di partito e cittadini traggano il giusto insegnamento...
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Lettera di un imprenditore al comune di Adro, che ha cacciato dalla mensa scolastica i bambini i cui genitori non avevano pagato le rette

IO NON CI STO

Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità. Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film “L’albero degli zoccoli”. Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per vivere bene. E’ per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica.

A scanso di equivoci, premetto che:
- Non sono “comunista”. Alle ultime elezioni ho votato per FORMIGONI. Ciò non mi impedisce di avere amici dì tutte le idee politiche. Gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona.
- So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, ma lo chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell’educazione.

Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano. Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell’Ucraina.

Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l’insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa che faceva male.

I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia paladino di questo spostare l’asticella dell’intolleranza di un passo all’anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, ma potrei portare molti altri casi.

Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato. Noi eravamo poveri, ma non ci siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta avvenendo?
Che non mi vengano a portare considerazioni “miserevoli”. Anche il padrone del film di cui sopra aveva ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli. (E se non conoscono il film che se lo guardino..)

Ma dove sono i miei sacerdoti. Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo. Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo?
Vorrei sentire i miei preti “urlare”, scuotere l’animo della gente, dirci bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche loro dentro il “commercio”.

Ma dov’è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare “partito dell’amore”. Ma dove sono i leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l’Italia.
So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti “compagni che sbagliano”.

Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni dei redditi loro e delle loro famiglie negli ultimi 10 anni. Tanto per farci capire come pagano le loro belle cose e case.
Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) Venga dalle tasse del papa di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1200 euro mese (regolari).

Ma dove sono i miei compaesani che non si domandano dove, come e quanti soldi spende l’amministrazione per non trovare i soldi per la mensa. Ma da dove vengono tutti i soldi che si muovono, e dove vanno?
Ma quanto rendono (o quanto dovrebbero o potrebbero rendere) gli oneri dei 30.000 metri cubi del laghetto Sala. E i 50.000 metri della nuova area verde sopra il Santuario chi li paga? E se poi domani ci costruissero? E se il Santuario fosse tutto circondato da edifici? Va sempre bene tutto?
Ma non hanno il dubbio che qualcuno voglia distrarre la loro attenzione per fini diversi. Non hanno il dubbio di essere usati? E’ già successo nella storia e anche in quella del nostro paese.

Il sonno della ragione genera mostri.

Io sono per la legalità. Per tutti e per sempre. Per me quelli che non pagano sono tutti uguali, quando non pagano un pasto, ma anche quando chiudono le aziende senza pagare i fornitori o i dipendenti o le banche. Anche quando girano con i macchinoni e non pagano tutte le tasse, perché anche in quel caso qualcuno paga per loro.
Sono come i genitori di quei bambini. Ma che almeno non pretendano di farci la morale e di insegnare la legalità perché tutti questi begli insegnamenti li stanno dando anche ai loro figli.

E chi semina vento, raccoglie tempesta!

I 40 bambini che hanno ricevuto la lettera di sospensione servizio mensa, fra 20/30 anni vivranno nel nostro paese. L’età gioca a loro favore. Saranno quelli che ci verranno a cambiare il pannolone alla casa di riposo. Ma quei giorno siamo sicuri che si saranno dimenticati di oggi?
E se non ce lo volessero più cambiare? Non ditemi che verranno i nostri figli perché il senso di solidarietà glielo stiamo insegnando noi adesso. E’ anche per questo che non ci sto.

Voglio urlare che io non ci sto. Ma per non urlare e basta ho deciso di fare un gesto che vorrà dire poco, ma vuole tentare di svegliare la coscienza dei miei compaesani.

Ho versato quanto necessario a garantire il diritto all’uso della mensa per tutti i bambini, in modo da non creare rischi di dissesto finanziario per l’amministrazione, in tal modo mi impegno a garantire tutta la copertura necessaria per l’anno scolastico 2009/2010.
Quando i genitori potranno pagare, i soldi verranno versati in modo normale, se non potranno o vorranno pagare il costo della mensa residuo resterà a mio totale carico. Ogni valutazione dei vari casi che dovessero crearsi è nella piena discrezione della responsabile del servizio mensa.

Sono certo che almeno uno di quei bambini diventerà docente universitario o medico o imprenditore o infermiere e il suo solo rispetto varra la spesa.
Ne sono certo perché questi studieranno mentre i nostri figli faranno le notti in discoteca o a bearsi con i valori del “grande fratello”.

Il mio gesto è simbolico perché non posso pagare per tutti o per sempre e comunque so benissimo che non risolvo certo i problemi di quelle famiglie.
Mi basta sapere che per i miei amministratori, per i miei compaesani e molto di più per quei bambini sia chiaro che io non ci sto e non sono solo.

Molto più dei soldi mi costerà il lavorio di diffamazione che come per altri casi verrà attivato da chi sa di avere la coda di paglia. Mi consola il fatto che catturerà soltanto quelle persone che mi onoreranno del loro disprezzo.
Posso sopportarlo. L’idea che fra 30 anni non mi cambino il pannolone invece mi atterrisce.

Ci sono cose che non si possono comprare. La famosa carta di credito c’è, ma solo per tutto il resto.

Un cittadino di Adro
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Una copia della lettera la potete trovare QUI. Con essa, c'erano anke i 10mila € sganciati dall'imprenditore x mettere fine (?!?) a questa incresciosa vicenda...

martedì 13 aprile 2010

Ma per noi "fighetti" anche questa è politica...

Risposta alla (lucida) analisi di Lucia Annunziata

di Filippo Rossi


Inutile fare finta di niente: Lucia Annunziata, sul Riformista di oggi, pone un bel problema. Uno di quei grattacapi da rimanere a strofinarsi la zucca più del dovuto, indecisi tra il darle ragione su tutto e per tutto o l'argomentare in punta di penna, cercando di zigzagare tra le efficacissime “trappole” che la giornalista ha piazzato nel suo discorso. Annunziata ha avvertito Gianfranco Fini: “Attenzione al fighettismo di destra”. E ha spiegato, con un’analisi spietatamente lucida, che è arrivato il momento uscire da quella “bolla” fatta di libri, canzoni, citazioni e riflessioni culturali, in cui è stato rinchiuso il cosiddetto “finismo”. È arrivato il tempo di mettere da parte le promesse e puntare ai fatti. È tempo di politica, insomma. È tempo di azione.

«La stagione del rinascimento finiano – scrive Annunziata – ha fatto immaginare a una parte della società di entrambi i campi che la destra delle anticaglie autoritarie fosse alla frutta». Con una «vita intellettuale fra le più interessanti», con «giornalisti, filosofi, accademici, donne e uomini vivaci e soprattutto imprevedibili, intellettuali cross border che hanno attinto alla grande cultura della destra per reinterpretarla nel contesto della modernità», «la stagione finiana è vissuta anche dell’equivoco che potesse essere il superamento del berlusconismo». Equivoco che vacilla – spiega Annunziata – dopo il «brusco risveglio» della «sconfitta elettorale» alle Regionali. E che richiede, a maggior ragione, una fuga dalle chiacchiere.

Basta parole, è tempo di politica, esorta Annunziata. Potremmo lavarcene le mani rispondendo che giornalisti, intellettuali (i fighetti insomma) proprio questo fanno: chiacchierano. E proprio questo non fanno: politica. Ma sarebbe come nascondersi dietro un dito o mettere la testa nella sabbia. E siccome non abbiamo nessuna vocazione a fare gli struzzi, cerchiamo di rispondere per quel che ci riguarda alla provocazione di Lucia Annunziata. Quello che lei definisce il “rinascimento finiano” di una destra tranquilla che sa parlare con le parole delle regole e della legittimità è un processo che si fonda tutto sulle buone parole, su quella che Roberto Saviano definisce l'importanza delle buone parole. Perché le buone parole sono (anche) buona politica.

È stata una battaglia a tutto campo, quella per cercare di cambiare pelle a una destra che si pensava per forza cattiva, per forza maligna, per forza minoritaria. Una battaglia “fighetta” per cercare di aprire gli argini della società a una certa destra che continuava ad arroccarsi nel mito dei pochi ma cattivi. Qualcosa è successo, se stiamo qui a parlarne con Lucia Annunziata. Qualcosa è successo, se il “finismo” in questi anni è diventato la categoria condivisa di una possibile “nuova politica”, dei diritti e dei doveri. E del buon senso. E se qualcosa è successo molto del merito va sicuramente alle parole dette, alle prese di posizione, alle provocazioni, al “fighettismo”, insomma. Al cercare di parlare a tutti e non ai militanti. Nella convinzione che tutti sono più importanti di pochi. E se qualcosa è successo molto del merito va alla scommessa di non scommettere sul patriottismo di partito (o di popolo): evviva noi, abbasso gli altri. Ecco, per noi “fighetti”, tutto questo è fare politica. E siamo orgogliosi del lavoro fatto fin qui in piena e totale libertà, in piena e totale autonomia intellettuale.

È ora di fare altro? Di darsi una mossa, come dice Annunziata? Non lo sappiamo, sinceramente. E soprattutto poco ce ne importa. Non sta a noi deciderlo. Sappiamo però che tanta strada abbiamo fatto e tanta dovremo ancora farne. Proprio perché giornalisti e intellettuali non possono e non devono sostituirsi ai politici, ma devono comunque mettersi in cammino. Perché siamo – per riprendere la tua perfetta definizione – cross border, attraversatori di confini, nomadi di provenienza diversa, come si addice ai tempi “liquidi” in cui viviamo. Uomini di frontiera, emigranti dell'anima, siamo in mezzo al guado. E nel guado non esistono “ex”. Non si guarda indietro, si prova solo ad andare avanti per arrivare dall'altra parte del fiume. Per cercare e trovare nuovi compagni di strada. E nuovi amici. Solo a quel punto potremmo riposarci. Almeno per un po'.

13 aprile 2010


CREDITS: FFWebMagazine

giovedì 1 aprile 2010

NASCE GENERAZIONE ITALIA, UNISCE QUELLO CHE IN MOLTI VORREBBERO DIVISO

Trovo assolutamente divertente che più Gianfranco Fini conferma la sua presenza nel Popolo della Libertà che ha contribuito a fondare con Silvio Berlusconi e più lo danno in furiosa uscita.

Il racconto è quello di un complottante Fini che organizza correnti esterne e partiti antagonisti a Silvio Berlusconi.

Oggi nasce Generazione Italia che nella testa dei “scissionisti paranormali” sarebbe dovuto essere il contenitore organizzativo del nuovo partito di Fini.

Ma se vi capiterà di visitarlo e di parlare con il promotore Italo Bocchino vi renderete conto che l’iniziativa è coerente a quello che sempre è stato detto, cioè di potere rappresentare un punto di vista, un elaborazione differente da quella che pare essere predominante nel PDL.

Io non ci vedo niente di male, a meno che qualcuno pensi che l’Italia sarà generata nel futuro da un pensiero unico che però a me appare confuso quando esce dalla divinazione del capo.

Il fatto che dentro uno stesso partito ci siano punti di vista diversi rappresenta una ricchezza che va coltivata e ricercata e che deve trovare sintesi capace di contenere e rappresentare visioni e progetti che stanno nel Paese, per fare ciò è necessario sapere ascoltare, mettere l’orecchio sui binari del futuro e Bocchino lo fa partendo dalla rete, dal web aprendosi alla parte più attiva della nostra società, non sarà facile, ma è la strada giusta.

Domani però leggeremo che è il primo passo per la prossima scissione a dispetto di ogni intenzione e dichiarazione opposta e contro ogni logica.

Nasce 'Generazione Italia'